Roma,
23 febbraio 2003
Famiglie:
dal fatto al diritto
Intervento
di Giulio Ercolessi nel seminario organizzato
dal Gruppo parlamentare Ds-Ulivo sui progetti di legge in materia di
famiglie di fatto nella sede del Gruppo, presieduto da Luciano Violante
e introdotto dai deputati Ds Elena Montecchi e Franco Grillini.
Faccio
parte, fra le altre cose, della Fondazione Critica Liberale, che ha
dato un
contributo alla stesura del “corpus legislativo
grillinianeo” – chiamiamolo
scherzosamente così, proprio per tenere insieme (e dare
così una risposta alle
obiezioni che sono state fatte sul carattere
“moderato” del progetto di legge
sul Pacs) questa proposta e le altre che la hanno accompagnata.
Abbiamo
anche fornito, sull’ultimo numero della nostra rivista
(Critica liberale, n. 86,
dicembre 2002), con un saggio sull’articolo 29 della
Costituzione, uno
strumento che già il dr. Bilotta ha avuto la
bontà di ricordare e che crediamo
possa essere molto utile per rispondere a una delle principali
obiezioni che è
stata avanzata, forse l’ultima che si poteva avanzare, quella
fondata sull’interpretazione
dell’art. 29. L’interpretazione che è
suggerita in quell’articolo della rivista
(che è stato distribuito qui questa mattina) è
tutt’altro che creativa: si basa
anzi su una lettura dell’art. 29 della Costituzione perfino
letteralista e per
nulla ideologica. L’art. 29 della Costituzione dice che la
Repubblica «riconosce
i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio», non che
riconosce come famiglia soltanto quella definita come
società naturale fondata
sul matrimonio.
All’epoca
dell’entrata in vigore della Costituzione si voleva
assicurare alla famiglia
una sfera di riservato dominio, contro i tentativi di poteri totalitari
di
normare la famiglia in modo tale da impedire il libero sviluppo al suo
interno
delle personalità degli individui che la compongono, come
era accaduto durante
il regime fascista e come stava accadendo nei paesi comunisti.
Questa
era la ragione per cui quell’articolo era stato voluto e
così formulato, come
del resto specificato da Moro e da Mortati in sede di Assemblea
Costituente, e
questa era la sua ragion d’essere: non certo quella di
impedire al legislatore
ordinario di introdurre nuovi istituti giuridici che assicurassero una
tutela
legislativa delle famiglie di fatto, dato che a quell’epoca
le uniche famiglie
di fatto che esistevano erano una mera conseguenza
dell’impossibilità di
sciogliere il matrimonio, e coloro che ne facevano parte sarebbero
stati ben
felici di costituire nuove famiglie fondate su nuovi matrimoni.
L’altra
questione che vorrei sottolineare, in relazione proprio ai diversi
generi di
progetti che sono stati presentati, sia cioè rispetto al
progetto a cui si
riferiva l’ultimo intervento, sia ad altri che nel corso
degli anni sono stati
presentati in entrambi i rami del Parlamento, è questa: il
progetto di legge
sul Pacs, così come anche gli altri progetti presentati
dall’on. Grillini,
quello sulla normativa antidiscriminatoria per gli omosessuali come
individui e
quello sulle “unioni domestiche registrate”, hanno
la loro forza proprio nell’essere
proposte chiare e moderate: così come moderata era la
proposta di legge sul
divorzio, che originariamente prevedeva, come ricorderete, cinque anni
di
separazione legale già dichiarata prima della
possibilità di richiedere lo
scioglimento del matrimonio: tanto è vero che,
già per la seconda volta negli
anni trascorsi dalla sua approvazione, adesso, e senza grandi
contrasti, si
propone di modificarla.
La
proposta sul Pacs (come anche quella sulle “unioni domestiche
registrate”) non
prevede nulla che riguardi i figli, di cui non intende modificare
minimamente
lo status, proprio perché, prima ancora che queste proposte
fossero state
presentate, l’argomento in forza del quale si è
scatenata una demagogica
campagna ostile è stata proprio la questione dei figli.
Si
è voluto invece riportare la questione ad un nucleo di
principio estremamente
semplice: due persone dello stesso sesso o di sesso diverso che
convivono sono
libere o non sono libere di regolare i loro propri rapporti –
i loro propri
rapporti, non quelli anche di terze parti – nel modo che
desiderano?
Che
differenza c’è fra una coppia di omosessuali che
convivono e due vedovi che si
risposano all’età di settant’anni, ad
esempio, e che, secondo il nostro diritto,
possono scegliere liberamente fra la normativa derivante dal matrimonio
e l’unione
di fatto? Perché i secondi, che non possono avere figli per
via naturale,
perché ciò è impossibile, che non
possono averli per via di inseminazione
artificiale, perché ciò è vietato,
prima ancora che dalla legge, dalle
normative deontologiche dei medici, che non possono adottare,
perché hanno
ampiamente superato l’età in cui è
consentito adottare, possono liberamente
scegliere un regolamento giuridico per i loro propri rapporti e i primi
no?
Questa
è la questione a cui bisognerebbe rispondere e questa
è un’idea forte, è un’idea
altrettanto forte quanto lo era quella, a suo tempo, del divorzio,
perché è
semplice: l’etichetta “matrimonio gay”
è una cosa che spaventa perché fino ad
oggi, nella nostra società, non ci si è
riflettuto come argomento di diritto,
ma al massimo come curiosità di costume.
Io
ricordo però che già all’epoca del
divorzio - a quell’epoca ero radicale,
quando i radicali erano qualcosa di alquanto diverso da quello che sono
oggi –
alla domanda rivolta agli italiani (si trattava dei primi sondaggi di
opinione
che si facevano su commissione dei media e su larga scala) e che era:
«Siete
favorevoli o contrari al divorzio?», la risposta prevalente
era: «No». Dopo di
che, si chiedeva: «Siete favorevoli al fatto che dopo cinque
anni
di separazione si
possa sciogliere il matrimonio?» e la risposta era:
«Sì». «Siete favorevoli al
fatto che dopo otto anni di separazione non consensuale si possa
sciogliere il
matrimonio?» «Sì».
«Siete favorevoli al fatto che, nel caso in cui uno dei
coniugi sia condannato all’ergastolo si possa,
etc.?» «Sì».
Si
tratta di fare esattamente la stessa cosa, ma per fare questo bisogna
avere il
coraggio di portare avanti queste iniziative, come hanno fatto tutte le
altre
forze politiche della Sinistra occidentale, senza eccezione alcuna, in
una
situazione nella quale il discrimine ormai non è quasi
più tanto ideologico
quanto anagrafico.
Ci
sono sondaggi di opinione già da qualche anno che dimostrano
che fra gli italiani
di età inferiore ai cinquantacinque anni queste proposte
sono largamente
maggioritarie nel paese.
Oggi
non è un caso che il Presidente della Puglia, che ha
trent’anni o poco più, sia
stato favorevole a concedere il patrocinio all’iniziativa del
“Gay Pride” del
prossimo anno a Bari: è verosimile che i suoi compagni di
scuola che sono
omosessuali glielo abbiano detto, che li conosca, che magari siano suoi
amici,
mentre quelli di Berlusconi, trent’anni prima, non glielo
avevano certamente
detto, e lui probabilmente non lo sospetta neppure, neanche oggi.
Questo
è importantissimo, fra l’altro, anche per
recuperare alla Sinistra italiana
quella capacità di creare contraddizioni anche nel fronte
avverso che le
battaglie per i diritti civili negli anni Settanta le avevano dato.
Io
ricordo che le obiezioni che venivano fatte contro la legge sul
divorzio prima,
e poi contro quella sull’aborto, da parte di molti dirigenti
e militanti del
partito “predecessore” del vostro, erano fondate su
questa idea: «Dovrei andare
nelle campagne toscane ed emiliane a parlare di divorzio? per
carità! È meglio
che parli di riforme economico-sociali».
La
vittoria sul divorzio e poi quella sull’aborto, invece, si
sono poi dimostrate
il volano di un’enorme avanzata dei laici e della sinistra
negli anni
successivi; e hanno contribuito a dare alla sinistra
l’immagine di una forza di
libertà, intenzionata e capace di promuovere la
modernizzazione del paese:
esattamente i caratteri che oggi molti italiani attribuiscono proprio
allo
schieramento avversario.
Questo,
però, non vale solo per la classe politica, ma vale per
l’intera società di
questo paese. Oggi siamo in una situazione nella quale nel nostro
mondo, nel
mondo occidentale, non solo il Partito Socialista francese ha approvato
la
legge sul Pacs: si dice che solo l’Olanda, e adesso il
Belgio, hanno previsto
il matrimonio per gli omosessuali e gli altri paesi hanno scelto
qualcos’altro,
ma non è del tutto vero. Il piano inclinato verso cui ci
stanno portando i
principi di civiltà giuridica che si stanno affermando
nell’Europa occidentale
è quello della piena parità di diritti:
è la marcia di avvicinamento a quell’obiettivo
che può battere vie molto varie.
La
proposta minimale, quella che è stata scelta come prima
proposta per fare anche
in Italia, è, come dice la formula di Sergio Lo Giudice,
“un pacs avanti”, è
cioè improntata a un criterio gradualistico, ma non
significa che questo sia l’ultimo
punto di arrivo, perché la proposta sulle unioni domestiche
registrate sarà il
passo logico successivo.
Non
è neppure vero che ci sia negli altri paesi –
cioè in quasi tutti, ormai, i
paesi occidentali, perché quasi tutti hanno già
da tempo legiferato in questo
campo – una netta diversità fra coloro che hanno
scelto il modello, diciamo
così, matrimoniale, e quelli che hanno scelto di arrestarsi
su una soglia più
moderata, perché, ad esempio, in Olanda
c’è – come direbbe Bilotta –
il nomen iuris di matrimonio (e
così oggi è
anche in Belgio), però ci sono limiti, ad esempio, per
quello che riguarda l’adozione
di minori non olandesi.
Nei
paesi scandinavi, a cominciare dalla Danimarca, fin dal 1989 si
è legiferato
attribuendo alle parti la stessa identica libertà di scelta
a cui hanno diritto
i coniugi eterosessuali per quel che riguarda i loro propri rapporti,
escludendo
il nome di matrimonio e qualunque cosa riguardasse i figli, ma una
successiva
riforma ha cominciato ad erodere quest’ultima limitazione.
Anche la Germania
(almeno per quel che concerne le competenze federali, dato che
l’attribuzione
di molti benefici del welfare sono di competenza dei Länder,
che hanno
legiferato in modo diverso a seconda dell’orientamento
politico) ha una
situazione normativa molto simile a quella scandinava, non a quella
francese,
dato che, per quel che riguarda i rapporti fra i coniugi, è
prevista la piena
parità di diritti rispetto al matrimonio. Ma anche paesi
cattolicissimi come il
Portogallo si sono mossi nella stessa direzione, e lo stesso
è accaduto in
numerose regioni spagnole, in cui queste riforme sono spesso passate
persino
con i voti del Partito Popolare, in molti Cantoni svizzeri, in alcuni
Stati
degli Stati Uniti.
Queste
sono posizioni che sono fatte proprie dalle sinistre ovunque: anche dai
laburisti inglesi, da tutti gli altri partiti socialisti e liberali di
sinistra
europei dell’ovest e dell’est, da molti democratici
americani, dai liberali
canadesi, dai laburisti australiani e neozelandesi, ovunque.
In
Italia bisognerebbe soltanto cercare di non fare eccezione, sapendo che
su
queste cose sicuramente siamo in grado di mettere in contraddizione
buona parte
della destra con il suo elettorato giovanile, che è forte
soprattutto in una
fascia di età che va dai venticinque ai trentacinque anni, e
che, sicuramente,
su queste questioni
specifiche, è più dalla nostra parte che non
dalla parte di Bossi, dalla parte
di Fini, dalla parte di Buttiglione e dalla parte di Borghezio.
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