L’embrione non è uno di noi
Quello che segue è il contributo di Giulio Ercolessi per l’“antologia della libertà”, “Antologia Wolność”, a cura di Miłosz Hodun, Warszawa 2012, in lingua polacca, realizzata dall’organizzazione membro del Forum Liberale Europeo “Projeckt:Polska”. A vari esponenti liberali europei e a rappresentanti delle organizzazioni membro dell’Elf è stato chiesto di collaborare, ciascuno con una voce del dizionario. Il libro, la cui pubblicazione è stata finanziata dal Parlamento Europeo, non è in vendita ma può essere scaricato gratuitamente nel testo polacco dal sito del European Liberal Forum.
Una
casa brucia e sta per crollare. C’è tempo solo per
salvare,
alternativamente, o una coppia di bambini frignanti che implora aiuto
o,
all’estremità opposta dell’edificio, una
provetta contenente decine di embrioni
congelati. Una scelta si impone: a chi date la precedenza? Se
è vostra
convinzione che gli embrioni sono persone umane, la risposta
è obbligata:
salvate gli embrioni e vi rassegnate a lasciar bruciare vivi i due
bambini,
perché salvare una decina di “persone”
è meglio che salvarne due soltanto.
Raramente
i sostenitori della tesi secondo cui l’embrione deve essere
considerato una persona umana si rendono conto o sono disposti a
prendere essi
stessi sul serio le conseguenze e le inevitabili implicazioni delle
loro
apodittiche affermazioni.
Se
l’embrione è una persona umana, e per di
più una persona umana del
tutto incapace di difendersi e di far valere i propri diritti, la sua
protezione giuridica dovrebbe essere massima, ed equiparata in tutto e
per
tutto a quella delle persone umane già nate. Ma quasi
nessuno è disposto ad
assumersi la responsabilità delle conseguenze di questa
affermazione, tanto che
i rimedi giuridici proposti o pretesi dai sostenitori della tesi si
limitano di
solito a proporre norme miranti non a proteggere l’embrione
alla stregua di una
persona umana, ma solo a prescrivere a tutti i cittadini regole di
comportamento coerenti con la propria ideologia, la propria visione del
mondo –
e più spesso, alla fine, con la propria religione
– e a rendere difficili le
scelte di vita o penosa l’esistenza di chi non intende
adeguarvisi perché
sorretto da diverse convinzioni, principi e valori: soprattutto quando
si
tratta della loro vita sessuale. Quasi mai i sostenitori della tesi che
considera persone gli embrioni si spingono a pretenderne una coerente
traduzione in norme giuridiche.
Non
arrivava a questo neppure la recente legge italiana
sull’inseminazione artificiale, una delle più
restrittive, approvata dalla
maggioranza parlamentare del governo clerical-populista di Berlusconi e
successivamente
dichiarata in più parti illegittima dalla nostra Corte
costituzionale e dalla
Corte Europea dei Diritti Umani: la legge si limitava, nella sua
originaria
formulazione, a limitare il numero di embrioni passibili di essere
distrutti
nei tentativi di inseminazione e a imporre alla donna dolorose e
inutili
procedure e vessazioni (spingendo così chi se lo
può permettere a ricorrere
all’inseminazione all’estero). Ma come è
possibile che chi sostiene che
l’embrione è una persona ne ammetta poi, sia pure
entro molto ristretti limiti,
l’“assassinio”?
Questa
evidente contraddizione non deve in realtà stupire,
perché
sarebbe proprio lo sviluppo logico della tesi a evidenziarne
l’insostenibilità.
Sarebbe infatti necessario trarne la conseguenza che a qualunque
distruzione
dell’embrione, comunque motivata, dovrebbero seguire le
stesse sanzioni
previste per la soppressione di una persona nata: le sanzioni penali
dovrebbero
necessariamente essere le stesse previste, se del caso, per
l’omicidio
volontario premeditato (oppure colposo, preterintenzionale, tentato,
ecc.).
Dal
loro punto di vista, i sostenitori della tesi che l’embrione
è
persona non potrebbero
neppure
cavarsela con l’argomento che non si può proporre
di punire con
una sanzione adeguata alla sua pretesa gravità oggettiva un
comportamento del
cui carattere criminoso è solo venuta meno la consapevolezza
sociale diffusa,
ottenebrata dall’eclisse dei valori tradizionali: questo
argomento è stato
scartato, una volta per tutte e ormai definitivamente, dai processi di
Norimberga e di Tokio e da quello di Eichmann a
Gerusalemme, ed è
estraneo alla nostra stessa coscienza
giuridica
liberale
contemporanea, tanto spesso tacciata di “relativismo
morale”.
La
tesi qui criticata non viene quasi mai presentata
come
una
verità dogmatica propria della fede cattolica, ma come un
fatto di natura,
accertato dalla scienza. Et pour cause:
solo affermando che si
tratta di una evidenza naturale, oggi chiara grazie alla ricerca
scientifica,
la gerarchia cattolica può giustificare il fatto che perfino
l’aborto non fosse
stato considerato un omicidio dai predecessori, teologi papi vescovi e
concili,
fino al XVII secolo (salvo qualche raro accenno di segno diverso), e
che tale
tesi non sia diventata dottrina ufficiale che ai tempi di Pio IX, per
essere
poi recepita nel codice di diritto canonico solo nel 1917.
Purtroppo
per la gerarchia, questa evidenza “scientifica” non
può
essere avallata dagli scienziati, che, in quanto scienziati, possono
dire che
cos’è uno zigote, una morula, una blastocisti, un
embrione, un feto, un
individuo, ma non possono certo definire che cosa sia una
“persona umana”, che
non è un concetto scientifico ma filosofico, morale,
giuridico o religioso; né
questa pretesa evidenza è vissuta come tale dalla
generalità degli stessi
credenti, e neppure dei cattolici; e non corrisponde agli orientamenti
chiaramente prevalenti in Europa fra cristiani e teologi protestanti.
E
il
comune sentire si guarda bene dal considerare evento luttuoso il
mancato
annidamento naturale di una blastocisti nell’utero materno e
la conseguente
“morte” della “persona” in
questione: una sorte che, riguardando circa l’80%
dei concepimenti, dovrebbe far precipitare
l’umanità intera, a cominciare da
ogni giovane coppia, in un lutto ricorrente, ossessivo e
pressoché perpetuo.
Invece
dovremmo giubilare: con una moltiplicazione strutturale della
natalità per
cinque, la vita umana sulla terra sarebbe già cessata da
tempo.
Proprio
quest’ultimo elemento dovrebbe imporre una valutazione
più
realistica del problema: è per la natura stessa che
l’embrione, finché è solo
tale, è solo un tentativo, che ha ancora un
“valore” trascurabile.
Un
embrione non ancora annidato
ha
scarse probabilità di dar vita a un
individuo, e ha così scarsa soggettività che,
nelle prime fasi di sviluppo,
potrebbe dar vita non a uno (o nessuno), ma anche a due o
più individui. Ma un
embrione che non abbia ancora sviluppato neppure un abbozzo di sistema
nervoso
merita anche la nostra compassione meno di quanto la meriti un animale
senziente,
dato che quest’ultimo, almeno dal punto di vista fisico,
è almeno capace di
provare dolore in modo probabilmente simile al nostro. Pretendere che
addirittura un insieme di cellule della grandezza di meno di un
millimetro
abbia lo stesso valore di un essere umano è una pura e
semplice assurdità, come
credo dimostri il dilemma
sull’incendio
esposto all’inizio. È un punto di vista analogo
alle
teorizzazioni estreme di quegli animalisti,
“vegani” etici, per i quali
friggere un uovo equivale a tirare il collo a una gallina. A uno stadio
di
sviluppo inferiore a quello di un animale senziente,
l’embrione non dovrebbe
invece avere, né gli è stato storicamente
attribuito nel passato (quando la
stessa Chiesa cattolica lo considerava ancora
“inanimato”), un valore in sé
superiore a quello di un pollo. Ma meno approssimativo sarebbe il
paragone con
un celenterato.
Il
costo umano della traduzione in legge dei divieti religiosi in
questo campo è feroce e incalcolabile: non si tratta
soltanto delle difficoltà
capricciosamente create all’inseminazione artificiale per le
coppie sterili.
Vietando la ricerca sulle cellule staminali embrionali si impedisce
alla
scienza di percorrere una delle vie ritenute da molti scienziati
più
promettenti per il futuro della medicina e per la ricerca di cure per
le
malattie più letali, dolorose e invalidanti del nostro
tempo. E non è compito
della politica, ma solo della comunità scientifica,
stabilire quali vie siano
più promettenti e quali meno per la ricerca.
Troppi
uomini politici, anche laici, spesso ammutoliscono di fronte a chi li intimidisce
ricordandogli che tutti un tempo siamo stati embrioni. Non sarebbe
tanto
difficile rispondere che, se è per questo, prima ancora
siamo stati anche
polvere. E polvere torneremo. Ma questa non è una buona
ragione per idolatrare
la polvere.
Agosto 2012
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