Un dibattito radicale del 1977


Quello che segue è l’intervento di Giulio Ercolessi nel dibattito precongressuale aperto nell’estate del 1977 sul numero 3-4, agosto-novembre, della rivista “Argomenti radicali”, diretta da Massimo Teodori, nel “Dossier: il PR verso il congresso”. Il documento cui il testo fa riferimento fu pubblicato nello stesso dossier con il titolo “Attuare integralmente lo statuto per realizzare il ‘partito nuovo’” e fu elaborato da Enzo Belli-Nicoletti, Ernesto Bettinelli, Mercedes Bresso, Umberto Cerqui, Franco Corleone, Carlo Lomartire, Angelo Panebianco, Giorgio Pizzi, Lorenzo Strik Lievers e dallo stesso Massimo Teodori. Nel documento si proponeva, fra l’altro, un “salto di qualità” volto a superare “un rapporto politico con il Paese che [ora] passa prevalentemente attraverso la mediazione del leader carismatico Marco Pannella”. Al successivo congresso nazionale di Bologna a novembre questo gruppo avrebbe elaborato una mozione di minoranza, che, pur ritirata, avrebbe provocato l’astensione sulla mozione finale da parte di circa un terzo del congresso.

 

Il documento elaborato dal gruppo redazionale di “Argomenti Radicali” e il dibattito che ne seguirà potranno forse essere il punto di avvio di qualcosa che nel Pr è sempre mancato, e dalla cui mancanza traggono origine (o in assenza di cui si sono aggravati) molti dei problemi che il documento stesso affronta e per i quali avanza diligentemente importanti soluzioni e proposte. Ciò che è totalmente mancato in questi anni è stato infatti, credo, un qualunque serio dibattito politico sui problemi organizzativi e di gestione del partito, che, nel Pr, assumono più che altrove un significato politico, stante il reiterato assunto di voler fare dello statuto il maggiore manifesto teorico del partito e la volontà di proporsi come modello di organizzazione libertaria alle altre forze democratiche.

 

Se ne parla in realtà, è vero, e molto, ad ogni congresso, ma, in mancanza di qualunque dibattito precedente, pochissimi di coloro che partecipano alle rituali riunioni delle commissioni sullo “stato del partito” (attraverso le quali il tema è sempre stato espulso dal dibattito politico del congresso, o vi è stato versato in modo del tutto depoliticizzato attraverso relazioni anodine o a senso unico) vi giungono con una pallida idea dei problemi teorici e pratici posti dallo statuto e dalla sua fin qui totale disattuazione. Ciò non vale solo, naturalmente, per i problemi organizzativi, giacché congressi che si svolgano senza alcun dibattito preliminare, per quanto di “democrazia diretta”, non possono che risolversi in rituali plebisciti, in inutili comizi, o, nella migliore delle ipotesi, soltanto in manifestazioni di lancio di questa o quella iniziativa politica.

 

Va approfondito quindi uno spunto appena accennato nel documento: le dimensioni e la funzione che il Pr ha assunto non gli consentono più di tenere questo tipo di congressi; pretendere di far partecipare a un dibattito, in tre giornate, mille o duemila persone significa puramente e semplicemente abrogare ogni dibattito, e consentire di esprimersi solo a chi lo può fare attraverso canali diversi da quelli specificamente congressuali. Vero è che non sembra possibile porre concretamente il problema per il prossimo congresso, poiché l’attuazione dello statuto in questo campo comporterebbe non solo la convocazione di un congresso per delegati, ma anche e soprattutto il decentramento (cioè la realizzazione per la prima volta) del dibattito congressuale e precongressuale, su base regionale. E per fare seriamente questo non c’è tempo. Tuttavia il problema va affrontato con urgenza: se si è giunti a teorizzare che il Pr non avrebbe bisogno di momenti ulteriori di democrazia interna, perché, la frequenza e il carattere “diretto” dei congressi sarebbero tali da consentire negli intervalli una gestione “presidenzialistica” (di fatto invece autocratica, per effetto soprattutto dei meccanismi politici e psicologici del professionalismo bene individuati nel documento).

 

Il risultato è che i congressi non si tengono secondo lo statuto, perché in quelli di oggi non ci può essere consapevole conoscenza di questi problemi che da parte di pochi, e che d’altra parte, non tenendosi i congressi secondo lo statuto, non può svilupparsi nel partito alcuna dialettica democratica.

 

Non c’è da stupirsi quindi che il processo di formazione e di crescita di una omogeneità politica e culturale dell’organismo radicale sia del tutto bloccata, come emerge dall’analisi operata dal documento, e che le inevitabili incomprensioni, frizioni e delusioni non possano che esprimersi nel mancato rinnovo dell’iscrizione. L’aumento quantitativo del numero dei tesserati, che cresce in misura maggiore, non deve far dimenticare il dato preoccupante, secondo cui ogni anno larga parte dei nuovi iscritti non rinnova l’iscrizione: e si tratta spesso proprio di coloro che potrebbero, se ne fosse data loro la possibilità, esprimersi e agire autonomamente nelle situazioni locali. In tali situazioni spesso il Pr è incapace di fare altro che eseguire le istruzioni degli organi centrali: attaccare manifesti, distribuire volantini, raccogliere firme. Tutte cose essenzialissime e fondamentalissime, ma altrettanto assolutamente insufficienti a fare del Pr quella federazione di centri autonomi di iniziativa che lo statuto teorizza.

 

(…)

 

Fino all’incirca a due o tre anni fa una situazione del genere poteva spiegarsi con il tipo di crescita e di sviluppo dell’organismo politico radicale; è anche vero che il professionalismo, che in tale situazione era in certa misura inevitabile, comporta fenomeni analoghi in tutti i movimenti politici.

 

Ma tutto questo non giustifica l’irritazione, l’insofferenza nemmeno dissimulate per ogni tipo di critica e di dissenso anche marginale, tanto più ingiustificabili se rivolte non contro chi dissente dagli obiettivi politici, dalla strategia o dalle singole battaglie radicali, ma contro chi rivendica l’attuazione dello statuto, contro chi non si rassegna all’idea che il Pr debba continuare ad essere un partito libertario e alternativo negli obiettivi, e nemmeno democratico nella sua vita interna, e quindi, alla lunga, bloccato e fortemente condizionato nelle possibilità di sviluppo e di affermazione anche esterne.

 

Ed è chiaro che, a mano a mano che si allargherà la domanda di un sempre più ampio arco di temi e di battaglie da affrontare (solo uno di quelli cui abbiamo cominciato ad accostarci quest’ anno, a mio avviso potenzialmente primario, quello della difesa ambientale, richiederebbe uno sforzo di elaborazione e una molteplicità di interventi, anche locali, enormi) si restringeranno le possibilità di alcuni tradizionali strumenti di lotta politica radicale (i digiuni che non fanno più notizia fino alla morte del digiunatore, i referendum che il regime si appresta a rendere giuridicamente sempre più impraticabili).

 

(…)

 

È necessaria una volontà politica rigorosa e decisa, di cui fino ad oggi non si è avuta neanche l’ombra: decine di riunioni completamente inutili del Consiglio federativo, convocato spesso a decisioni già prese, o solo per diramare direttive dal vertice, l’abitudine ai fiumi di parole spese e alle centinaia di chilometri percorsi inutilmente per anni non sono qualcosa che si supera e si modifica radicalmente senza un confronto chiaro e netto, senza la volontà di affrontare alla radice quello che è uno dei nodi politici fondamentali che il Pr deve sciogliere.

 

Le indicazioni contenute nel documento di “Argomenti Radicali” costituiscono una prima risposta e forniscono utili e importanti contributi alla risoluzione dei maggiori problemi interni del Pr, ma rischiano di restare lettera morta se ancora una volta il Congresso di novembre mancherà di rispondere a questa domanda: è possibile essere soggetti attivi della politica radicale, o si può solo aderire in modo incondizionato ed acritico a un’entità immodificabile, prigioniera (come le forze politiche tradizionali) di un inesorabile processo di involuzione burocratica? In altre parole: vogliamo attuare lo statuto del 1967 oggi che è finalmente possibile farlo, per costruire il partito nuovo che sarà sempre più indispensabile nei prossimi mesi ed anni, o vogliamo continuare a esaltarlo a parole per contraddirlo sempre più nei fatti?

 

La mozione Pergameno, approvata dal Congresso di Napoli, era una prima indicazione in senso positivo, ma non è stata sorretta da alcuna nuova volontà politica del gruppo dirigente nazionale del partito nel suo complesso: come e più che nei partiti tradizionali, non solo le decisioni, ma anche le informazioni sull’attività stessa del partito hanno continuato ad essere patrimonio esclusivo di una ristrettissima cerchia di compagni (e neppure sempre di quelli o di tutti quelli statutariamente posti al “vertice” del partito). Dobbiamo sapere bene che modificare abitudini e cristallizzazioni del genere significa avviare un processo che a questo punto non può certo essere indolore o lineare, ma non possiamo più permetterci una gestione del partito privata o “familiare” come quella che era possibile quando eravamo in duecento: oggi quella gestione “familiare” sarebbe (o è) una gestione “patriarcale” e oggettivamente autoritaria.

 

Da Argomenti radicali, Anno I, n. 3-4, agosto-novembre 1977.

 

Creative Commons License
I file pubblicati su questo sito da Giulio Ercolessi sono rilasciati con licenza
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Diritti di utilizzo ulteriori possono essere richiesti a http://www.giulioercolessi.eu/Contatti.php.