Per una riforma liberale della sanità italiana
di Giulio Ercolessi
La
sostenibilità della
spesa sanitaria è destinata a divenire nel prossimo futuro
ancor più
problematica di quella previdenziale. Le ragioni sono facili da
comprendere:
aumento dell’aspettativa di vita, capovolgimento della
piramide demografica rispetto
ai decenni in cui i sistemi sanitari nazionali furono introdotti in
tutti i
paesi dell’Europa occidentale, progressi scientifici e
tecnologici della
medicina che ogni anno rendono possibili trattamenti in precedenza
inesistenti,
ulteriore aumento conseguente dell’aspettativa di vita a
costi progressivamente
crescenti.
Già oggi la naturale tendenza verso una crescita costante della spesa sanitaria pubblica, ulteriormente gravata in Italia dal peso di corruzione, clientelismo, elettoralismo, sprechi e malgoverno, renderebbe il sistema insostenibile senza i massicci tagli delle prestazioni che spesso non vengono neppure ufficialmente dichiarati, ma ottenuti attraverso l’allungamento delle liste d’attesa, vincoli di natura politica posti alle scelte dei medici, mutamenti non sempre virtuosi delle programmazioni regionali. Per di più lo sbilanciamento della spesa sociale a favore della previdenza – e nonostante le riforme degli ultimi anni in materia di pensioni – fa sì che la spesa sanitaria in Italia sia oggi particolarmente bassa rispetto al PIL in confronto a quelle di quasi tutti gli altri paesi occidentali. Per conseguenza, in Italia è già in atto un’evoluzione spontanea verso un sistema davvero duale e censitario: proprio quel che si intendeva scongiurare con la creazione di un servizio sanitario pubblico.
Non nemmeno è difficile prevedere che, quanto più crescerà in futuro la spesa sanitaria privata che i cittadini in grado di sostenerla saranno spinti a sobbarcarsi per ottenere le prestazioni dovute in tempi ragionevoli, e quanto più numerosi saranno coloro, anche per nulla facoltosi, che non potranno farne a meno, tanto più si manifesteranno le richieste di opting out dal sistema pubblico: è anche prevedibile che, alla fine, quando il loro numero risulterà elettoralmente troppo vasto, tali pressioni diverranno insostenibili e provocheranno anche formalmente il collasso definitivo del sistema e della copertura sanitaria universale di cui i cittadini dei paesi europei hanno goduto per decenni.
Una
proposta molto
radicale, ma probabilmente la sola in grado di evitare una piena
trasformazione
del sistema in tale direzione, e alla fine la bancarotta del sistema di
protezione universalistica, è quella di seguire la via
intrapresa dal 2006 nei
Paesi Bassi, anche radicalizzandone in parte l’impianto, per
adeguarlo al
degradato contesto politico italiano e preservare per quanto possibile
la
sanità della corruzione endemica e pervasiva e dal degrado
che caratterizza i comportamenti della gran
parte dell’attuale classe politica italiana. Si tratta di una
proposta capace
al tempo stesso di azzerare l’attuale peso
dell’intermediazione
parassitaria della politica sulla sanità, pur mantenendo il
carattere universalistico e solidaristico del sistema, e di evitare sia
gli sprechi, la corruzione e le distorsioni
elettoralistiche e
clientelari propri dell’attuale gestione politica della
sanità italiana, sia le
iniquità di un sistema puramente privatistico come quello
americano.
Nei
Paesi Bassi si è
scelto di preservare l’effettivo carattere universalistico
della copertura
sanitaria della popolazione attraverso il mercato assicurativo privato,
creando
un sistema concorrenziale ma rigidamente regolato, e basato
sull’obbligo per
tutti i cittadini di sottoscrivere un’assicurazione (obbligo
limitato alle
prestazioni garantite dai “livelli essenziali di
assistenza”, stabiliti per
legge nei Paesi Bassi come anche attualmente in Italia). I cittadini
scelgono la
compagnia di assicurazione e pagano direttamente una quota base
individuale
fissa (con esenzione parziale o totale per le fasce svantaggiate e
totale per i
minori); le compagnie di assicurazione che operano sul mercato delle
polizze sanitarie
sono obbligate ad accettare la richiesta, e a fornire a tutti la
relativa
copertura, indipendentemente dall’età e dalle
condizioni di salute individuali;
lo Stato predispone un fondo di equalizzazione dei rischi finanziato
attraverso
la fiscalità generale e lo redistribuisce alle compagnie
senza margini di
discrezionalità, ma in base ai costi differenziati che
queste devono sostenere in
ragione della composizione delle diverse categorie di assicurati che
hanno in
carico e della classificazione delle loro diverse patologie; esercita
inoltre
un capillare controllo sugli standard del servizio e rende pubblici i
risultati
garantiti dai diversi fornitori delle prestazioni, calcolati in base a
standard
internazionali.
Si
noti che, in un ipotetico
quadro legislativo analogo, il carattere contrattuale della copertura
sottoscritta
consentirebbe ad assicurati italiani di pretendere quanto loro dovuto
anche
eventualmente ricorrendo ad azioni giudiziarie (e a richieste di
provvedimenti
d’urgenza) in caso di inadempienza da parte di una
controparte privata quale
una compagnia di assicurazione. A loro volta, le compagnie di
assicurazione
sarebbero ovviamente più oculate nello spendere il proprio
denaro secondo
criteri di efficienza – e di efficacia, grazie
all’accessibilità e alla
pubblicità dei risultati conseguiti garantita dallo Stato
– di quanto non lo
sia una classe politica preoccupata soprattutto del consenso, e quindi
proclive
a utilizzare i denari coattivamente ottenuti dai contribuenti con
criteri
clientelari, corporativi, campanilistici o corruttivi, e favorendo non
i
migliori e i più efficienti fra i potenziali fornitori di
prestazioni
sanitarie, ma quelli che sono parte della propria cordata o consorteria
politica, economica, affaristica o affaristico-religiosa.
Nei
Paesi Bassi le
compagnie di assicurazione – le stesse che forniscono la
copertura obbligatoria
di base – competono liberamente, proponendo contratti di
assicurazione
integrativi, su tutto quel che eccede i livelli essenziali di
assistenza, come
detto fissati per legge nel sistema olandese così come nel
sistema attualmente
vigente in Italia (per esempio, cure dentistiche anche di carattere
estetico,
trattamenti di riabilitazione più completi di quelli che
oggi
vengono ovunque drasticamente ridotti,
protesi oculistiche, migliori trattamenti alberghieri, prestazioni di
medicina
estetica, ecc.).
L’opportunità
di
sottoscrivere assicurazioni integrative a quella obbligatoria di base
può
rivelarsi importante anche per un altro motivo. Viviamo in
società non solo sempre
più diversificate per valori e stili di vita, ma anche
attraversate da pulsioni
irrazionalistiche e antiscientifiche, che sempre più
risultano del tutto
irresistibili, anche
da parte del più determinato dei decisori politici: come
l’esperienza italiana degli ultimi anni
ha ampiamente dimostrato, fin dai tempi dell’inutile
sperimentazione di
massa della “cura Di Bella”, quando ingentissime
risorse,
sempre scarse
per definizione, furono sottratte alle prestazioni ordinarie per
deviarle verso un trattamento mai approvato dalla comunità
scientifica ma imposto dalla ciarlataneria populista con imponenti e
invincibili mobilitazioni di massa. Limitare
il campo delle
cure sanitarie garantite del tutto o in parte su base solidaristica ai
trattamenti sulla cui necessità il giudizio è
massimamente condiviso e la cui
efficacia è asseverata dalla valutazione della
comunità scientifica
internazionale significa non soltanto concentrare sul loro pieno
soddisfacimento risorse per definizione scarse, garantendone una
migliore
sostenibilità nel tempo. Significa anche sottrarre al
finanziamento effettuato
tramite un’imposizione coatta e generalizzata spese che una
parte della
collettività considera, e a ragione, del tutto irrazionali,
o che può
considerare voluttuarie, inessenziali o inopportune, ma che possono
viceversa
essere considerate da altri assolutamente essenziali per
un’accettabile qualità
della propria vita. Dato che in una società liberale i
cittadini hanno pure il
diritto di essere superstiziosi (e che compito dello Stato e della
politica è
di garantire a tutti informazioni corrette e istruzione, ma non di
stabilire il
confine fra credenze “religiose” lecite e credenze
“superstiziose” illecite),
quel che conta è che, almeno quando non si tratti di
semplici truffe o di
trattamenti dannosi, la scelta individuale sia libera ma il costo di
trattamenti
del genere ricada interamente sulle spalle dei richiedenti. E un
sistema finanziato
attraverso polizze scelte dai cittadini si presta bene a consentire non
solo ai
più salutisti o ai più ansiosi di assicurarsi
– ma a proprie spese – trattamenti
più tempestivi o più completi di quanto sarebbe
strettamente indispensabile e
sensato, ma anche a chi nutra convinzioni antiscientifiche di
garantirsi
assicurazioni integrative in materia, per esempio, di omeopatia,
agopuntura,
medicine tradizionali esotiche o simili, senza costi o coinvolgimento a
carico
dei “non credenti”.
Ai
fini di una corretta
valutazione dell’esperienza olandese va ancora specificato
che il livello
complessivo della spesa, fortemente aumentato negli ultimi anni, non
è realisticamente
comparabile con quello italiano, anche e soprattutto perché
vi rientra l’ingente
e crescente peso dell’assistenza socio-sanitaria per gli
anziani non
autosufficienti, e dato che in Olanda è sconosciuto il
fenomeno dei badanti a
domicilio, che in Italia spesso assicurano tale servizio in modo
invisibile e
sfuggendo per lo più non solo a ogni regolamentazione, ma
anche a ogni affidabile
rilevazione statistica.
Il
sistema qui proposto
è perfettamente coerente con il “modello sociale
europeo” e non si distingue da
quelli del resto dell’Europa occidentale dal punto di vista
del suo carattere
universalistico, dato che, grazie all’obbligo generalizzato
di sottoscrivere un
contratto di assicurazione sanitaria, garantisce a tutti i cittadini le
stesse
prestazioni di base e mantiene il carattere solidaristico del
finanziamento del
sistema. Si differenzia invece profondamente
da quello americano sia da tale
punto di vista, sia dal punto di vista dei costi e
dell’efficienza: dato che le
compagnie di assicurazione che vendono polizze sanitarie sono obbligate
a
contrarre (e possono ragionevolmente esservi obbligate, grazie
all’esistenza del fondo pubblico di equalizzazione dei
rischi), viene meno ogni
ragione dei costosissimi e generalizzati
esami
clinici preliminari alla stipulazione del contratto assicurativo,
inutili se
non talvolta perfino potenzialmente dannosi per gli assicurandi, e che
servono
soltanto a garantire le compagnie dal rischio di dichiarazioni
menzognere da
parte dei clienti circa le loro condizioni di salute pregresse, esami
il cui enorme
costo ricade ovviamente sull’intera platea dei clienti delle
compagnie. Vengono
così azzerati i costi economici e le distorsioni prodotte
dalla “selezione
avversa” in un mercato interamente privato delle
assicurazioni sanitarie. In un
sistema come quello descritto, e pure in un mercato contrassegnato da
fortissime asimmetrie informative fra assicuratori e clienti,
risulterebbero ovviamente
invalide le clausole di contratti di adesione, predisposti dalle
compagnie ma
incomprensibili ai profani, con cui si mirasse a introdurre limitazioni
alle
prestazioni assicurate dai livelli essenziali di assistenza, come
è spesso
accaduto negli Stati Uniti.
Al
fine di raggiungere,
al tempo stesso, il massimo dell’efficacia e il massimo
dell’efficienza
economica – condizione quest’ultima della
sostenibilità del sistema nel tempo –
in Italia si potrebbe anzi ulteriormente proporre che anche i fornitori
delle
prestazioni operino in regime di piena concorrenza, erigendo in
fondazioni
autonome le attuali strutture pubbliche, sottraendole così
agli attuali condizionamenti
elettoralistici, campanilistici e clientelari, e prevedendone la
liquidazione e
la privatizzazione delle strutture relative, nel caso si rivelassero in
seguito
incapaci di autosostenersi e di operare con la stessa efficacia a costi
altrettanto competitivi quanto quelli degli altri fornitori.
Vi
sarebbero due importantissime
conseguenze virtuose collaterali. La prima riguarderebbe la spesa
pubblica
corrente, che ne verrebbe immediatamente alleggerita per la quota base
pagata
direttamente dai cittadini alle compagnie, con relativi ovvi benefici
anche per
quel che riguarda il debito. E questo non solo senza tagli alle
prestazioni, ma
al contrario garantendole con maggiore sicurezza, efficacia ed
efficienza nel
tempo.
La
seconda rilevantissima
conseguenza virtuosa riguarderebbe i “costi della
politica”, dato che le
Regioni verrebbero private della quota di gran lunga preponderante
della loro
attuale capacità di spesa. Non solo i cittadini delle
Regioni peggio gestite
potrebbero pretendere nei confronti di una controparte privata le
stesse prestazioni
oggi garantite dalle Regioni meglio funzionanti, ma tutte le Regioni
verrebbero
drasticamente ridimensionate, e private dell’attuale
incongruo ruolo di
mini-Stati lontani dal centro dell’attenzione e dello
scrutinio dei media, che
le rende la più incontrollabile voragine senza fondo della
spesa pubblica
italiana. Si tratterebbe di un taglio davvero strutturale dei
“costi della
politica”, enormemente e incomparabilmente più
rilevante e massiccio di tutti
quelli proposti dall’imperante demagogia
e ciarlataneria populista, e di un prosciugamento di quella che oggi
è sicuramente
la fonte principale della corruzione politica italiana, una corruzione
endemica
che è patetico pensare di poter debellare o arginare
soltanto per via
giudiziaria.
Anche e soprattutto per questo motivo, ma anche a causa della forza degli interessi intrecciati (politici, economici, corporativi, sindacali, professionali, affaristici, religiosi) che una riforma come quella qui delineata potrebbe colpire per favorire invece l’interesse generale alla sostenibilità del sistema, è da prevedere che essa potrebbe forse essere presa in considerazione solo quando il sistema fosse davvero giunto sull’orlo del tracollo. Ma poiché, per le ragioni dette, tale momento non sembra purtroppo affatto lontano, sarà bene aver pronte idee e proposte efficaci di riforma. L’alternativa è rassegnarsi ad accettare l’evoluzione spontanea del sistema verso una sanità del tutto censitaria e non più universalistica.
Quella
che precede è la sintesi della lezione tenuta il 15 maggio
2017 nell’ambito della
Scuola di Liberalismo di Messina, organizzata dalla Fondazione Luigi
Einaudi (Video).
Il contenuto riprende l’intervento di Giulio Ercolessi nella
conferenza
internazionale “Per una politica sanitaria europea / Health
Care Policy and
Fundamental Rights in Europe”, organizzata a Roma, Villa
Spalletti Trivelli, il
27 novembre 2008 dal European Liberal Forum con il sostegno della
fondazione
Critica liberale, poi ripreso in un articolo pubblicato nel n°
15, dell’Ottobre
2010, della rivista “European Papers on the New Welfare”
e ulteriormente
ampliato e aggiornato al 2012 nella versione presente in
questo sito con il titolo “Costs of Political Intermediation
and
Sustainability of the European Social Model in Health Care: the Dutch
Example” (in inglese). Si veda anche
l’intervento
svolto nella riunione della Commissione “Salute,
Sanità, Disabilità” del XIV Congresso
dell’Associazione Luca Coscioni per la Libertà di
Ricerca Scientifica a Torino il 30 settembre 2017.
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