Contro il finanziamento pubblico della scuola di tendenza
Dilemmi
liberali: la libertà a scuola tra laicità,
comunitarismi, famiglie e libero sviluppo delle personalità
individuali. Versione un po’ ampliata del contributo recato,
su invito
degli organizzatori, al
dibattito del Torino Liberal Forum, Torino 17 marzo 2023.
di
Giulio Ercolessi
La
libertà liberale è libertà di
individui, la laicità ne è strumento
La
libertà liberale è
libertà di individui, non è la libertà
delle formazioni, comunità e corpi
sociali, in cui gli individui si trovano inseriti, di imporre o
promuovere una
forzosa uniformità di vedute al proprio interno. Credo che
la centralità
dell’individuo per il liberalismo debba assumere
un’importanza ancor più decisiva
di fronte alla pressione totalizzante dei comunitarismi digitali e
reali che
sono il prodotto combinato e sinergico di populismi, integralismi e
fondamentalismi autoctoni e di importazione e della segmentazione
dell’arena
pubblica indotta dai social media. In una società sempre più
assediata da comunitarismi
contrapposti, le minoranze organizzate dispongono in genere di qualche
margine
di effettiva difesa dei tratti comuni che le caratterizzano, ma la
libertà
degli individui è sempre più minacciata non solo
dalla tirannide della
maggioranza sociale, ma anche, e in modo spesso più
invasivo, dalla “propria”
comunità di presunta o forzata appartenenza. Gli individui
che sono minoranza
all’interno di una minoranza organizzata sono quelli che
dispongono di minori
strumenti a difesa della propria sfera di autonomia.
Le
controversie che a
questo proposito hanno visto impegnati anche liberali di varie tendenze
nella
storia italiana dall’Unità in poi hanno riguardato
sia la questione
dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, e
più in generale la questione
della presenza delle religioni – inizialmente e per
lunghissimo tempo della
sola religione cattolica – nello spazio della scuola pubblica
e i suoi limiti,
sia la questione del finanziamento e del ruolo della scuola privata,
che
tradizionalmente in Italia è stata fino ad oggi soprattutto
la scuola
confessionale cattolica.
Dato
che il tempo è
limitato, sulla questione più generale
dell’intrinseco e necessario rapporto
fra liberalismo e laicità, che da circa trent’anni
è stato messo in discussione,
mi permetto di rimandare alla mia postfazione
al bellissimo libro di Tullio Monti
“Percorsi laici”, libro che è un
po’ una summa di tutte le battaglie laiche italiane
e della loro storia.
Scuola
pubblica e religioni in una società plurale
Sul
primo punto, la
scuola pubblica, oso sperare che non trovi oggi oppositori fra i
liberali il
superamento dell’insegnamento confessionale nella scuola
pubblica della
religione cattolica, o dell’insegnamento confessionale di
qualunque altra
religione, superamento ormai fatto proprio da anni anche dalle
componenti più
aggiornate del mondo cattolico (o anche dalle componenti di quel mondo
che
semplicemente si rendono conto di quanto un insegnamento strettamente
confessionale
non possa che risultare ormai per lo più controproducente,
almeno se l’aggettivo
viene preso alla lettera). D’altra parte, qualche conoscenza
sia delle
principali correnti religiose sia della critica delle religioni, e dei
processi
di secolarizzazione in atto nella contemporaneità, sembra
ormai a tutte le
persone ragionevoli necessaria a chi viva nel XXI secolo, in un mondo
che non è
tutto uniformemente secolarizzato o manifestamente avviato verso quel
destino,
come appare esserlo la nostra Europa occidentale, e in cui il ruolo
politico
delle religioni organizzate non è quindi soltanto materia
per gli studi storici.
Semmai può essere argomento di discussione se un
insegnamento non confessionale
delle religioni possa essere impartito da insegnanti specializzati, o
se debba
essere parte dei programmi di storia, di letteratura o, dove presente,
di
filosofia: tenuto conto anche della probabile scarsa competenza di
molti degli
insegnanti di queste materie, propenderei per la prima ipotesi. In ogni
caso,
un insegnamento non confessionale non può che escludere il
meccanismo
concordatario della designazione degli insegnanti da parte della
gerarchia
della religione un tempo dominante e “di Stato”.
Dato
che sono passati
più di tre secoli dai tempi di John Locke (dalla sua allora
comprensibile ma oggi
ingiustificabile diffidenza nei confronti dei papisti, e da quella
già allora
ancor meno plausibile nei confronti degli atei), non è
neppure ammissibile che
nella scuola pubblica sia attribuito a una o più religioni
un ruolo privilegiato,
neppure simbolico, o una dignità superiore a quella di altre
e diverse
intuizioni del mondo. Ma questa è questione che, tuttora
cruciale per chi
voglia affermare la laicità della sfera pubblica come solo
possibile contesto
della pari libertà, della pari dignità sociale e
dell’uguaglianza giuridica dei
cittadini, attiene ormai alla scuola tanto quanto a ogni altro ambito
della
vita pubblica, dai tribunali ai consigli comunali agli ospedali. A
nessuno,
credo, verrebbe oggi in mente davvero di concepire la religione
cattolica o le
religioni in generale come “fondamento e coronamento
dell’istruzione pubblica”,
come recitava il Concordato del ‘29.
Simboli
e risorse in una società plurale
A
questo proposito va
fin d’ora sottolineato come all’interno della
Chiesa cattolica sembrino oggi
convivere due tentazioni contrapposte: quella, ormai minoritaria fra i
credenti
praticanti e nella gerarchia, dell’assunzione della difesa
dell’identità
autoctona degli europei contro un competitore temibile – il
crocifisso come
clava simbolica da brandire contro gli immigrati – e quella,
perfino più
minacciosa per la democrazia liberale, specie in paesi particolarmente
invertebrati come l’Italia, di un con-dominio con le nuove
presenze religiose
che, in cambio di una spartizione, magari per ora diseguale, delle
risorse
pubbliche, consenta una rivincita politica comune contro le conquiste
della
modernità illuministica, liberale e individualistica. A un
secolo, il mese
prossimo, dall’introduzione per via amministrativa dei
crocifissi nelle aule
scolastiche da parte del primo governo Mussolini,
è se non altro irrealistica la pretesa di
fare degli emblemi di una specifica confessione religiosa uno strumento
simbolico di predominio nello spazio pubblico, caricandolo al tempo
stesso,
come si pretende oggi da parte degli esponenti politici della
ciarlataneria
populista molto più che da parte dei leader religiosi, della
rappresentatività
delle posizioni controverse proprie del cattolicesimo tradizionale in
materia
di bioetica, di etica sessuale, di diritto famiglia, di problemi di
fine vita.
Più
insidiosa mi sembra
invece l’interessata offerta di con-dominio, anche simbolico,
rivolta da leader
cattolici più avvertiti, in nome della società
multireligiosa e multiculturale,
alle nuove presenze religiose: essi ben comprendono che è
meglio rinunciare a
un ormai improponibile monopolio, anche in materia di simboli, se
questo è il
prezzo da pagare per continuare a lucrare il continuo aumento di
contributi,
finanziamenti, privilegi materiali e immateriali, successi lobbistici
ottenuti
sul piano politico e inversamente proporzionali alla perdita di fedeli
obbedienti e di influenza sui comportamenti sociali diffusi nella
società
secolarizzata. I non credenti e i diversamente credenti, gli eretici
degli
stessi culti “ammessi”, come i dhimmi
nell’Impero ottomano, si rassegnino al ruolo di finanziatori
e sostenitori
forzati delle altrui intuizioni del mondo e relative organizzazioni, e
in definitiva al ruolo di
cittadini di serie B.
Il
finanziamento pubblico della scuola di tendenza in una
società plurale
Più
controversa, come
si è anche visto nell’intervento che mi ha
preceduto, e quindi forse più interessante
da discutere qui, mi sembra la questione del finanziamento pubblico,
diretto o
indiretto, e del ruolo delle scuole private di tendenza.
Ogni
scuola di
tendenza, non solo di tendenza religiosa, presuppone che
l’orizzonte valoriale
e di senso al suo interno sia collettivo e non oggetto di una conquista
e di
una scelta individuale, di una scelta libera (per quanto condizionata
come tutte
le scelte umane) e di pari dignità rispetto ad altre, ma sia
già dato,
predeterminato, comunitario, e non ricusabile se non pagando
l’apostasia con l’estraniamento
dalla comunità. La scuola laica è
all’opposto, secondo l’efficace descrizione
che ne faceva Guido Calogero, quella in cui, sulle questioni oggetto di
possibili controversie di principio e di valori, “nessuno
può avere
definitivamente ragione senza la possibilità e la
probabilità che qualcun altro
gli dia torto”. In questo senso la scuola laica è
la scuola di una società
liberale perché solo nella scuola laica è
possibile garantire, attraverso il
libero esame e il libero confronto di una pluralità di voci,
senza gerarchie di
dignità, il libero sviluppo della personalità
individuale. Credo che questa
libertà dall’imposizione di univoci
condizionamenti di carattere culturale, comunitarista,
sociale, tradizionale, religioso o politico dovrebbe apparire ai
liberali come
una priorità etico-politica rispetto a ogni considerazione
di ordine
socio-economico.
Per
questa ragione
credo che la questione della scuola privata, se intesa come scuola di
tendenza
per minori, non abbia neppure molto a che fare con le altre questioni
relative
alla gestione pubblica o privata dei servizi e del welfare, inclusa la
stessa
sanità (rinvio su quest’ultimo argomento a una mia
lezione
tenuta anni fa presso
la Scuola di Liberalismo di Messina della Fondazione Einaudi,
di cui una
sintesi è reperibile sul mio sito personale). E
ciò indipendentemente dalle
diverse opinioni che si possano nutrire in merito a tali questioni: un
ipotetico “buono scuola” avrebbe una valenza in
ogni caso totalmente diversa
dagli ipotizzati “buoni sanità” o da un
sistema universalistico e rigidamente
regolamentato di assicurazioni sanitarie private ma obbligatorie, sul
modello
olandese.
Si
apre così un
conflitto fra libero sviluppo delle personalità individuali,
libertà di
iniziativa economica in questo campo (se e in quanto legata alla
predeterminazione degli orientamenti ideologici della scuola) e potere
di
decisione da parte delle famiglie sulla sorte culturale dei figli.
Libero
sviluppo degli individui e potere delle famiglie sulla sorte culturale
dei
figli
Quest’ultimo
punto
merita in effetti particolare attenzione. In una società
liberale nessun
individuo, benché giuridicamente incapace di agire,
può essere fatto soggiacere
al potere illimitato, e privo di qualunque freno e contrappeso, di
qualcun
altro. Neppure, nel caso dei minori, dei propri genitori, che in
effetti la
legge, in tutte le società occidentali, tutela non solo
contro il caso estremo
e ampiamente dibattuto dell’abuso sessuale, ma anche, in
misura più o meno
severa ed esigente (ma crescentemente severa ed esigente), contro ogni
genere
di maltrattamento e abuso, anche se, come per secoli era ritenuto
ammissibile
dai più, motivato da presunte esigenze
“educative”. Anche in Italia l’abuso di
mezzi di correzione era già previsto come reato perfino dal
codice Rocco e dalle
codificazioni pre-unitarie. Che i genitori non siano, come nel diritto
romano
arcaico, padroni della vita dei propri figli come i patres
familias lo erano anche di quelle delle mogli e degli
schiavi è ovvio.
Probabilmente
saremmo anche
tutti d’accordo nel ritenere che a un genitore nazista, o
jihadista, o
neo-brigatista rosso, o putiniano, non potrebbe essere riconosciuto il
diritto
di imporre ai propri figli un’educazione coerente con la
propria ideologia. Ma,
anche al di fuori di simili casi estremi, si può ritenere
che un genitore possa
condizionare un proprio figlio già “capace di
discernimento” (come recita la
convenzione di New York sui “diritti del fanciullo”
del 1989 – e ci sarebbe da
dire su questa traduzione italiana del suo titolo), in modo da forzarlo
ad
abbracciare la propria fede religiosa o politica, impedendogli ogni
libero
confronto con visioni del mondo diverse, che non sia filtrato
attraverso tale
fede, e attraverso scuole e insegnanti deputati a provvedere quel
filtro? E
dove andrebbe posto il limite? Quali fedi religiose o politiche
dovrebbero
essere ritenute accettabili e quali invece ritenute dallo Stato alla
stregua di
sette, superstizioni, estremismi inaccettabili? Sulla base di quali
criteri può
lo Stato stabilire che una credenza è religione e
un’altra è superstizione? Come
discriminare fra diverse ideologie e fedi, in una società
irreversibilmente
plurale? Un genitore potrebbe lecitamente imporre ai propri figli, a
spese dei
contribuenti, una scuola di Scientology? O di sette evangelicali
estremiste, o
di musulmani fautori dell’islam politico? O una scuola
promossa da movimenti no
vax, che educhi alla diffidenza nei confronti della conoscenza
scientifica e
all’equivalenza fra questa e qualunque specie di credenze
“alternative”? E
perché lo Stato dovrebbe invece poi magari rifiutarsi di
finanziare una scuola
pastafariana?
Si
badi bene: nessuna
setta o movimento religioso estremista, nessun gruppo di genitori no
vax,
nessun movimento politico antidemocratico e illiberale
ammetterà mai
esplicitamente quali siano la natura profonda, gli intenti effettivi
alla base
dell’istituzione di proprie scuole di tendenza. Questi
saranno caso mai
discussi in gruppi chiusi sui social
media, dove si raccoglieranno le adesioni per la loro
istituzione.
In
qualche caso – è
l’esperienza fatta da altri paesi europei con scuole
istituite da movimenti
islamici fondamentalisti – potrà anche trattarsi
di scuole che vanteranno
risultati accademici di eccellenza, soprattutto nelle aree disciplinari
non
coinvolte dai propri condizionamenti ideologici. Come anche
è stato talvolta denunciato
in Francia da insegnanti eterodossi impiegati in scuole di tal genere,
allievi
e insegnanti saranno debitamente istruiti su come comportarsi in
occasione di
eventuali ispezioni ministeriali. Ogni interferenza sarà
ovviamente tacciata di
intenti discriminatori, di arroganza eurocentrica o mondialista, accusa
che verrà
sempre trovata credibile e plausibile da vaste aree di opinione
pubblica.
Non
si può insomma più
trattare la questione del finanziamento pubblico della scuola di
tendenza come
se il fenomeno dovesse ancora continuare a riguardare, come nel
passato, la
sola tradizionale scuola confessionale cattolica, ormai di fatto
abbastanza
paciosa: una scuola che è ormai in genere consapevole del
fatto che, nella
società secolarizzata e con studenti solo formalmente o genericamente
correligionari, un’eccessiva
pressione confessionale non può che risultare del tutto
controproducente. Come
e più che nel passato, quando già accadeva che
una scuola cattolica
eccessivamente rigida e dogmatica finisse spesso per produrre convinti
mangiapreti
e anticlericali viscerali.
Anche
nel caso della
scuola cattolica, naturalmente, tutte le obiezioni di principio
avanzate da
sempre da liberali e laici continuano ad avere la loro piena
validità. Ma
l’ormai bisecolare immersione della Chiesa cattolica nella
società occidentale contemporanea,
almeno secolarizzata se non laicizzata, se non ne ha minimamente
intaccato
l’appetito per i privilegi, la corsa alla spartizione delle
risorse pubbliche e
la capacità di interferire con successo nella politica,
l’ha certamente piegata
a più miti consigli e ne ha certamente ridimensionato le
aspettative. Le
gerarchie cattoliche oggi non si fanno più illusioni sulla
possibilità di riacquistare
la perduta egemonia rifacendosi con le nuove generazioni attraverso la
scuola
di tendenza.
Non
così le nuove
presenze fondamentaliste, populiste, antiscientiste, organizzate in
potenti
reti anche internazionali o spontaneamente auto-organizzate sui social. E il loro esempio
potrà
senz’altro riattizzare pure gli appetiti dell’ala
più integralista,
tradizionalista e militante del mondo cattolico autoctono, del quale
è ormai parte
minoritaria e che proprio per questo tende a radicalizzarsi
ulteriormente.
Familismo
amorale, populismo diffuso e libertà nella scuola
Se
proibire ai genitori
di scegliere scuole di tendenza per i propri figli minorenni
– se non in casi
limite come qualcuno di quelli cui si è accennato
– genererebbe guai
peggiori del male come tutti i
proibizionismi, pretenderne il finanziamento pubblico, al di
là dei risvolti
costituzionali e giuridici della questione, pare a me una forma di
sostegno,
imposto ai contribuenti, a una pratica illiberale. Illiberale, ma oggi
divenuta
per molti accettabile come
ultimo esito
di una invasione crescente dell’ambito scolastico da parte
delle famiglie, di
cui si può rintracciare il momento iniziale di svolta nel
1974, quando, sotto
la spinta convergente della tradizionale pedagogia cattolica e del
pan-partecipazionismo consigliare caro alla tradizione comunista, i
“decreti delegati
sulla scuola” vi introdussero forme di democrazia corporativa
suscettibili, fra
le altre cose, anche di limitare la libertà di insegnamento
e la libertà di
apprendimento: primo inconsapevole ed embrionale passo, forse,
dell’idea che in
democrazia “uno vale uno” e “uno vale
l’altro”.
Si
obietta, da parte
dei sostenitori del finanziamento pubblico delle scuole di tendenza per
i
minori, che, nella larghissima maggioranza dei casi, i genitori
opererebbero nel
migliore interesse dei figli, e con maggiore sollecitudine e impegno
della
classe politica o della PA. Il che è, in linea di principio,
certissimo. È piuttosto
sulla generalizzata saggezza e competenza necessarie a individuare tale
interesse, e sulla natura di scelte che non costituiscono
l’esercizio di una
libertà individuale, ma di un potere sulla vita di altri
individui, che credo i
liberali debbano fermarsi a riflettere.
Le
modalità ormai
abituali di ogni dibattito pubblico hanno finito per convincere la
maggioranza
del pubblico che le proprie opinioni, magari irriflesse ma assunte con
sincera
convinzione, valgano quanto e più di opinioni meditate e
frutto di studio e
competenza. E che la propria cerchia di consentanei disponga di una
comprensione delle faccende del mondo di rango certamente superiore a
quello di
qualunque decisore professionalmente qualificato. Di qui anche la
prassi, ormai
assai invalsa, di ricorrere ai TAR per vedere annullate le bocciature
inflitte
ai propri pargoli. Una prassi che, dati i suoi costi, non riguarda
neppure ceti
particolarmente svantaggiati, e che, data la sua frequenza,
è improbabile sia
limitata ai comportamenti capricciosamente persecutori di qualche
insegnante,
che magari in qualche caso pure ci saranno. Famiglie di questo tipo,
non necessariamente
disfunzionali ma assai numerose, non sono in grado di fare
l’interesse dei
propri figli, e probabilmente ciò vale per molte scelte
relative alla loro istruzione.
Qualcuno
ricorderà il
primo episodio, “L’educazione
sentimentale”, del celebre film di Dino Risi “I
mostri” del 1963 in cui un insospettabile Ugo Tognazzi
educava il figliolo a
pagare meno brioches di quelle consumate al bar e ad altri
comportamenti
incivili, tipici del “familismo amorale”: e sono in
gran parte i bambini
educati ai tempi del boom all’insegna del
“familismo amorale”, da genitori che
a loro volta erano stati educati in epoca fascista, quelli che da
adulti hanno
condotto il paese, con il loro voto, nella fangosa stagione civile e
politica
dell’ultimo terzo di secolo. Quanto interesse pensate che
abbiano mantenuto, a
mezzo secolo di distanza, molti fra i figli di quei boomers
all’educazione dei loro figli all’esercizio
consapevole
della cittadinanza in una società aperta, questione che ci
riguarda tutti e che
tutti ci sta mandando a picco?
La
scuola di tendenza come strumento di rafforzamento dei comunitarismi
In
definitiva credo che
la battaglia dei costituenti liberali contro il finanziamento pubblico
delle
scuole private assuma oggi un nuovo e ulteriore significato di fronte
alla segmentazione
della società in comunitarismi contrapposti che alimentano
la polarizzazione
politica e culturale e la crescita di movimenti estremisti e
illiberali. Questo
fenomeno è favorito sia dalla socializzazione politica tutta
interna a gruppi omogenei
di utenti, costruiti – anche se per più prosaici
scopi – dagli algoritmi dei social
media, sia dalla parallela crescita
di gruppi identitari che si compattano grazie alla crescente
faziosità e al
razzismo sociale fomentato dai populismi (e in Italia dai talk-shows televisivi), che portano da un
lato alla nascita di
credenze superstiziose ma saldissime, e dall’altro alla
crescita e al
consolidamento di contrapposti fondamentalismi e integralismi
illiberali e
intolleranti, sia autoctoni sia di importazione.
Questi
ultimi, più
insidiosi dell’ormai estenuato cattolicesimo alla base di
gran parte delle tradizionali
scuole private italiane, saranno i primi a richiedere per i propri
giovani un’educazione
separata, che li preservi dall’integrazione nei costumi e
nelle idee delle
nostre società “decadenti e corrotte”,
e, una volta affermatosi e consolidatosi
il principio del finanziamento pubblico della scuola privata di
tendenza, non
potranno certo essere legalmente discriminati, come dimostra
l’esperienza di
altri paesi europei. Così, i contrapposti comunitarismi
omogenei ed escludenti,
rafforzandosi anche perché dotati dalla politica di
più penetranti e potenti
strumenti di indottrinamento, costituiranno nei prossimi decenni una
crescente
minaccia al futuro della società aperta.
Torino, 17 marzo 2023
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